I tramonti migliori

C’è un posto tra Ostia e Torvajanica, un tratto di spiaggia ignobile attraversato da uno dei tanti canali di scolo del litorale romano, che ormai frequento – seppur occasionalmente – da 7 o 8 anni, da quando il mio amico Patrizio, che dio lo abbia in gloria, mi ci ha portato la prima volta, ché lui conosce Peppe, il gestore del modesto chioschetto che sta lì da sempre e da cui partono cocktail annacquati e playlist imbarazzanti sparate a palla da casse feroci. In quel punto disgraziato di costa, dove di giorno il mare assume colori sempre innaturali e poco invitanti tra il verde e il marrone, ho goduto e godo i tramonti migliori.

S’intenda, ne ho visti di tramonti belli in vita mia. Penso solo a quelli recenti. L’anno scorso, ad esempio, io e la mia compagna eravamo in un paesino sperduto dell’Alto Adige, o meglio, in una frazione sperduta di un paesino sperduto dell’Alto Adige, e dalla veranda profumata e aperta sulla vallata dell’albergo-baita che ci ospitava vedevamo uno dei più imponenti massicci dolomitici. Al crepuscolo, con la fronte e le gambe distese verso la montagna, godevamo con un bicchiere di vino in mano, nel silenzio interrotto soltanto da qualche muggito di vacca, il sole che, tramontando alle nostre spalle, proiettava sulla roccia bianca delle Dolomiti il rosso delle sue ultime ore. Ci sembrava il paradiso, e lo era. Nessuno scenografo o light designer avrebbe potuto organizzare uno scenario migliore di chiusura del giorno.

Altri tramonti fantastici sono quelli che offre il Molo Audace di Trieste. Scendi da una delle vie del centro storico per andare verso piazza dell’Unità d’Italia, bellissima, che ti conduce con il suo abbraccio fin de siécle fino al mare, ti allunghi sul molo e guardi all’orizzonte il sole che annega nel Golfo, il quale, rientrando verso l’interno, ti permette di osservare il sole scomparire nel mare anche se sei su un tratto di costa orientale. Se il cielo è terso, riesci a vedere in lontananza un tratto di Alpi e ti pare un inganno ottico: per anni, da bambino, hai guardato l’orizzonte sul mare senza vedere nulla e domandandoti dove andasse a finire tutta quell’acqua, e all’improvviso, quando ormai quella domanda ha smesso di tormentarti per effetto delle conoscenze razionali e organizzate accumulate nel frattempo, vedi delle montagne al di là del mare e pensi che bastava andare a Trieste per avere la risposta giusta.

Un altro tramonto memorabile e recentissimo, risalente al periodo appena pre-Covid, lo abbiamo beccato a Lanzarote, su una spiaggia infinita alla fine di una di quelle strade lunghissime che si inoltrano in mezzo a dune di pietra lavica che si distendono a perdita d’occhio. L’oceano era agitato dal vento e il rumore delle onde copriva qualsiasi altro rumore. Due surfisti cercavano di approfittarne per fare pratica. Il resto dei bagnanti, pochi, passeggiava sulla spiaggia. L’acqua, scrociando a riva, lavava la sabbia e la lasciava lucida e splendente per un tempo breve, l’intervallo tra un’onda e l’altra, in cui il rosso del sole al crepuscolo si rifletteva, colorando di rosa e azzurro la terra su cui camminavamo. Lo spettacolo di colori a terra compensava la strana foschia che copriva il cielo e che non permetteva di cogliere appieno la bellezza di quel tramonto tenendo gli occhi alti.

Insomma, questo per dire che ne ho visti di tramonti importanti e degni di memoria. E tuttavia, c’è qualcosa che rende quelli che si possono osservare da quel posto insignificante tra Ostia e Torvajanica i tramonti migliori.
Probabilmente, la differenza principale è che quelli che ho descritto prima sono sostanzialmente tramonti eccezionali. Bisogna viaggiare, fare centinaia di chilometri, migliaia in alcuni casi, e fare in modo che, più o meno volontariamente, si realizzi la coincidenza temporale perfetta per godere gli ultimi minuti del giorno dalla prospettiva perfetta.
Quel tratto di spiaggia a Villaggio Tognazzi, invece, lo puoi raggiungere sempre (se vivi a Roma o nei dintorni), con venti minuti/mezz’ora di macchina sei lì. C’è sempre poca gente, la quantità giusta, persone senza pretese, stranetti che fanno ginnastica, imperturbabili pescatori di scarponi e spazzatura, umanità varia e – a suo modo – saggia di una saggezza stravagante che non è il prodotto di un lavoro dell’intelligenza, che sta lì appositamente per lasciarsi alle spalle un giorno più o meno infelice della loro vita ordinaria. E tutti appaiono in qualche modo soddisfatti, appagati da quella atmosfera di tranquillità, da quello spazio di ristoro e refrigerio in cui il tuo respiro si sincronizza con quello, sempre calmo, del mare. Se vuoi, puoi prenderti qualcosa da bere o da sgranocchiare: ieri, ad esempio, un ragazzo ha mollato sulla spiaggia per una ventina di minuti la sua compagna incinta ed è tornato con un cartone di pizza preso in qualche chiosco sul lungomare di Torvajanica, e placidamente si sono goduti una pizza sul mare al tramonto. La loro condizione in quel momento, come la nostra a una decina di metri da loro, come quella di tutti i tizi e le tizie che indugiavano fino a quell’ora in quel tratto di spiaggia, compreso «l’atleta», un tale palestrato giunto poco dopo di noi a fare scatti di corsa e altri esercizi ginnici vari e vagamente ridicoli, sembrava implicitamente dicesse al resto del mondo: «che volete di più?»
La bontà balneabile del mare ormai non ti interessa più: è troppo tardi o è troppo freddo per fare il bagno, quindi il mare diventa esclusivamente elemento scenografico, fondale, e non più luogo percorribile e praticabile. Con la luce del giorno che si abbassa, scompaiono dall’acqua i riflessi più inquietanti, e le onde, solitamente basse e morbide sulla riva, si adagiano su una variante cromatica del blu che è quella del luogo comune, l’archetipo del colore del mare a cui tutti attingiamo inferenze e associazioni semantiche quando dobbiamo chiamare in causa nella nostra esperienza il concetto di «mare».
Non ti disturba troppo neppure la musica che esce fuori dalle casse del chioschetto di Peppe, che di solito regola il volume a un livello accettabile al crepuscolo, non perché non sia musica deprecabile, anzi. Ma nella soddisfazione delle poche facce che la ascoltano sedute al chiosco con la loro biretta, o nelle movenze goffe e felici dello stesso Peppe che ogni tanto prova a improvvisarci sotto una danza forse nella sua intenzione sensuale, c’è qualcosa che le dona una dignità e una umanità che mai le riconosceresti fuori da quel momento e da quel luogo, in un discorso, anche semiserio, sui tormentoni estivi e sulla musica da spiaggia.
Non c’è quasi mai foschia al tramonto lì, né ristagna a quell’ora qualche nuvola di polveri sottili romane, che il vento, sempre piuttosto dolce, provvede costantemente ad allontanare. Si vede dunque bene e nitido, solitamente, il sole colare a picco piano, al meglio della sua luce crepuscolare, nell’acqua, talvolta col cielo chiazzato di cirri o nuvolaglia varia che riverbera attorno luci e ombre, sfumando i colori in largo.

Siamo soliti attribuire qualità meravigliose e straordinarie a eventi e momenti unici, o diffcilmente ripetibili. Ed è giusto. Tuttavia, ai miei occhi ciò che rende i tramonti che si godono da quel disgraziato tratto di spiaggia tra Ostia e Torvajanica i tramonti migliori è anche il fatto che sono sempre lì, pressoché tutti i giorni, d’estate e d’inverno con poche varianti stagionali, un’oasi di ristoro della vista e dei sensi a portata di mano più o meno costantemente, una ricchezza così grande e libera, disponibile a tutti. Insomma, per dirla breve, quei tramonti sono belli perché sono belli, e sono i migliori perché sono ordinari, comuni, semplici, fruibili sempre a chi vuole, come dovrebbero essere – in un mondo ideale – tutte le cose belle.

2 commenti

  1. Sappi che in quel posto (a cui sono molto affezionato anche per i tanti motivi che hai elencato) c’ho portato poche persone, accuratamente selezionate, tra cui te e il buon davide, persone che sapevo avrebbero potuto apprezzare le tante stranezze e i tanti motivi che hai elencato, compresi i tramonti ❤

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